Frammenti del Cammino di Santiago – parte 1 –
Ci sono cose che ti restano dentro, nel bene o nel male e inevitabilmente, come una cometa che fa un giro più o meno lungo, si ripresentano e chiedono la tua attenzione.
Con il Cammino di Santiago è successa lo stessa cosa.
Nel 2008 assieme all’amico Emilio, mio ex datore di lavoro ma soprattutto socio di tante avventure a piedi, decidemmo di provare a percorrerne un pezzo, almeno quello possibile con il tempo a nostra disposizione; il mio soprattutto, legato al rapporto lavoro/ferie, lui era ormai in pensione. Fra lunghe camminate prima e viaggi in treno dopo, ce la facemmo a raggiungere Leon e da lì avviarci, nemmeno tanto lentamente, verso la Galizia e Santiago di Compostela.
Quei 320 km furono una bella esperienza e ci donò altrettanti bei ricordi che, fin dai mesi successivi, fecero nascere quel tarlo che si insinuò nei pensieri, ovvero riprovarci. Quando nel 2010 Emilio partì con l’amico Nico verso il Cammino per percorrerlo tutto, cercai di dare un aiuto almeno psicologico ai loro preparativi e al viaggio; naturalmente c’era l’invidia sottile di chi non partecipa, mitigata solo dal fatto che nel Giugno di quell’anno avrei percorso “la via etrusca del ferro” creazione dell’amico Gianfranco che mi aveva coinvolto e invitato a essere suo “socio” in quell’impresa di archeotrekking, il primo in Italia.
Trascorsero mesi, poi anni e fatti due conti con le ferie a mia disposizione, nel 2012 ecco la decisione improvvisa: accompagnare il solito Emilio che nel 2013 voleva compiere i suoi 70 anni proprio sul Cammino di Santiago. Invitati alcuni amici interessati e trovatone altri, ecco formarsi così un gruppo di otto persone, dalle diverse preparazioni e dalle diverse aspettative, com’è giusto che sia, visto che nessuno è uguale a un altro e il divertimento è proprio qui.
Il 23 Aprile, con una levataccia mattutina, partenza con due vetture per il lungo viaggio dalla Toscana verso Saint Jean Pied de Port, dove alla gite Ultreia eravamo attesi per la cena e un tranquillo pernottamento. Credo che noi tutti abbiamo sopportato le quattordici ore di macchina solo per ciò che ci attendeva, aiutati dalla buona giornata dal punto di vista meteo. In ogni caso siamo arrivati, un po’ stanchi ma solerti nel sistemarci e prepararci la cena, studiata affinché fosse gustosa e non pesante in vista del giorno successivo, 24 Aprile, che ci avrebbe visti sulle lunghe salite pirenaiche verso Roncesvalles.
Pochi discorsi: chi vi dice che la tappa è fattibile ve la racconta facile. Fattibile lo è, come lo è stato scalare l’Everest e gli altri tredici ottomila del mondo per tutti coloro che lo hanno fatto; ma le rampe ripide e le altre meno ripide ma infinite, della lunga e dura salita pirenaica, asfaltate o no che siano, sono faticose anche se siete allenati. Pochi discorsi quindi, la verità è questa: la prima tappa è dura.
La foto dovrebbe appena dare una idea di quanto ripide sono alcune parti della prima tappa. L’albero che vedete è una delle piante più fotografate al mondo. Chi sale lungo questa strada sente la necessità di fotografarlo, magari perché lo riconosce da foto viste sui siti che parlano del Cammino, ma soprattutto perché scoprono che la salita è molto diversa da come appare in foto… e qui siamo ancora lontani dal Colle Lepoeder, ultima cima da superare prima di affrontare la “discesona” verso l’ostello dove riposare. Si, perché sia chiaro che anche la discesa verso Roncisvalle non scherza e le gambe, stanche dalla lunga salita fra panorami affascinanti, iniziano a protestare.
Posti magnifici, non è vero?
In fondo la fatica vale la ricompensa ma se qualcuno vi propone di partire da Roncisvalle o addirittura da Pamplona, non prendetelo per scansafatiche ma solo per prudente. E ricordate che partire da Saint Jean non è che vi rende migliori di chi parte da Pamplona…
Roncesvalles di mitico ha solo l’aspettativa provata da chi valica i Pirenei durante la dura tappa. L’attesa del luogo dove fare una bella doccia e riposare, rende quasi un miraggio il borgo storicamente celebre per le avventure di Carlo Magno e suo nipote, il prode Roland, per noi italiani l’Orlando (furioso o innamorato a seconda dei momenti letterari…).
Quando finalmente si scollina il Lepoeder, sotto di noi, vicini all’occhio ma meno alla gamba, si intravedono i tetti chiari del complesso della Collegiata, con il grande e nuovo ostello che, con i suoi oltre cento posti letto, integra quelli del vecchio ostello, celebrato in mille fotografie di altrettanti pellegrini. Naturalmente il vedere quei tetti ingenera l’euforia dell’essere arrivati anche se così non è. Due discese attendono le gambe e gli occhi di chi si affaccia dal “colle”, ultimo ostacolo verso l’arrivo: la prima, lunga e più dolce, porta sull’asfaltata che arriva in paese; la seconda, più diretta ma ripida, porta subito sotto il complesso meta dalla tappa, fra boschi affascinanti e l’attesa di vedere quei muri chiari apparirci davanti, segno tangibile della fine delle sofferenze di quella prima giornata.
Paese: per Roncesvalles è una parola grossa. Sono poche costruzioni a destra e a sinistra della strada che arriva dai monti e scende giù verso Burguete, Zubiri e Pamplona, mete successive del Cammino. Poche decine di metri ed è tutto lì, fine del gioco e del sogno, se di sogno si tratta. Di sonno certamente perché la notte è silenziosa e il dormire alla fine ristora tutti.
Bello il nuovo ostello che al nostro arrivo era già quasi completo; noi otto siamo finiti al terzo piano, sotto tetto, dove i letti non sono a castello come i piani inferiori, ma sono normali lettini, comodissimi in un ambiente completamente rinnovato, divisi in spazi per due persone. Valeria, una delle componenti del gruppo, ha detto che sembrava di essere nello scompartimento di un vagone letto, però uno di quelli belli.
Quando tutti siamo usciti per fare un giretto (e dove vuoi andare? Il “paese” è tutto lì) abbiamo visto molti pellegrini arrivare ed essere rimandati indietro perché il grande ostello era completo e così anche il vecchio ostello da una novantina di posti è stato in breve riempito. Clamoroso, visto il periodo fra fine aprile e maggio. Emilio e Nico, nel 2010, anno giacobeo fra l’altro, in maggio trovarono ostelli semivuoti. La spiegazione l’avremmo avuta nei giorni seguenti: ci sono molte persone e soprattutto tanti italiani che hanno abbinato le ferie con i due ponti del 25 Aprile e del 1 Maggio.
testo e foto di Marco Parlanti
1 Continua –