La vertigine di Moher
«La vertigine non è paura di cadere ma voglia di volare», recita la “hit” di Jovanotti. Le note della canzone mi tornano per un istante in mente mentre percorro lo stretto sentierino che costeggia le Cliffs of Moher, in Irlanda. Ma sarà davvero così come dice la canzone? A dire il vero, non mi sento d’immergermi del tutto né nella paura di cadere né nella voglia di volare. Così, mi mantengo prudente ben distante dal ciglio del baratro profondo oltre 200 metri in fondo al quale si staglia l’Oceano Atlantico incorniciato tra rocce aguzze.
Le Scogliere di Moher si trovano vicino al villaggio di Doolin, costa occidentale della Repubblica d’Irlanda. Sono un muro di roccia, dei veri e propri bastioni messi su dalla Natura, che separano il mare nel senso classico del termine dal mare d’erba che ricopre gran parte dell’Irlanda e di questa zona della contea del Clare. I suoni e gli odori del mare arrivano attutiti dalle decine di metri che separano la sommità delle scogliere dalla superficie marina. Nei pressi della parte più “civilizzata” dalle suggestioni del turismo, posso anche udire le note tenui di un’arpa gaelica modulata da un’evanescente signora piazzata in posizione strategica tra il Centro visitatori e l’imbocco del sentiero.
I profumi del mare, dell’erba bagnata e dei vicini greggi si confondono con quelli portati su dalla brezza marina Nel momento in cui sto percorrendo il sentierino a strapiombo sull’Oceano, vi è un tenue venticello e non c’è traccia di nuvola portatrice di pioggia. Percorrere questa stradina senza la furia degli elementi – che è molto verosimile immaginare da queste parti si faccia sovente sentire – forse mi priva di qualche sensazione supplementare, ma in fondo ne faccio volentieri a meno. Sarebbe sì molto suggestivo, ma anche piuttosto rischioso costeggiare lo strapiombo avanzando sulle poche decine di centimetri di spessore del sentiero, su di un terreno vischioso, sospinto da folate di vento.
La vertigine non è paura di cadere, si vabbè, però… una lapide posta in posizione strategica, dedicata a tutte le vittime della scogliera, mi ricorda che forse talvolta la vertigine può essere un misuratore di prudenza. Eppure, la tentazione della foto ricordo memorabile spinge qualche incauto turista ad ardite contorsioni per farsi fotografare con le migliori inquadrature a pochi centimetri dal baratro. Scarso uso della materia cerebrale o inconscio cupio dissolvi? Probabilmente entrambi. Le scogliere sono lunghe otto chilometri e ci sono diversi sentieri sia “ufficiali” che “ufficiosi” (in quanto entrano in proprietà private o sono vietati per motivi di sicurezza) che si possono percorrere. Rigorosamente a piedi, naturalmente, non vi sarebbe spazio per altri mezzi di locomozione.
Qui il concetto di scogliera è ben diverso da quello delle nostre coste, che sono quasi sempre delle rassicuranti rocce su cui è possibile inoltrarsi , farsi la tintarella e immergersi nelle tiepide acque marine. Qui il mare non lo vivi toccandolo con piede e respirandolo da dentro. La superficie marina rimane un’entità distante, che si percepisce in prospettiva come l’inquadratura di una bellissima cartolina. Quei duecento metri che ti separano dalle onde, sono loro che fanno la differenza.
Raffaele Basile
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