“La mia Bibbia è l’atlante geografico”. Intervista a Riccardo Carnovalini
Durante i giorni de La Via Del Ferro, Gianfranco Bracci e io abbiamo avuto molti incontri di viaggio, sia lungo i sentieri che percorrevamo, sia negli incontri pubblici per raccontare ciò che stavamo facendo.
A Firenzuola, in occasione di una sagra paesana, siamo stati ospiti nella serata dedicata a Riccardo Carnovalini che era lì per parlare di GeMiTo, il trekking nel triangolo industriale fra Liguria, Piemonte e Lombardia .
La sua iniziativa aveva legami con il nostro viaggio tramite una sorta di staffetta ideale, avendo lui terminato il 2 Giugno e noi iniziato il giorno successivo.
Persona profonda e attenta, Riccardo ci ha raccontato i suoi giorni in cammino e mostrato foto e video dei luoghi e delle persone. Mi ha fatto particolare piacere che abbia a sua volta ascoltato le nostre parole e mi abbia detto di aver apprezzato alcune delle mie. Di questo lo ringrazio ancora.
Durante la cena aveva acconsentito a rispondere ad alcune mie domande, una sorta di intervista/chiacchierata fra amici. Ne è venuto fuori un estratto umano degno di essere letto e percepito in ogni parola e in ogni sfumatura, per trovare anche noi ciò che Riccardo ha trovato e quello che ancora continua a cercare.
d. Bene Riccardo, presentati con quello che ritieni fondamentale di te, quello che di solito nelle biografie viene dopo i dati anagrafici e le notizie su studi, professione o quanto ci inquadra nella vita.
R. Mi ritengo una persona fortunata perché sono sempre riuscito a vivere delle mie passioni. Amo camminare e da trent’anni il cammino mi consente di vivere. Non è poca cosa. Certo, nessuno mi paga per i chilometri che faccio, ma qualcuno è interessato ai risultati dei miei cammini e “compra” i miei racconti, le mie foto, i miei progetti.
d. Come hai scoperto la tua passione per il camminare? Come per la maggior parte di noi è iniziato tutto da una gita in montagna o c’è stato qualcosa di diverso?
R. La passione per il camminare mi è nata probabilmente a seguito di due traumi che ho avuto da giovanissimo. Un grave incidente in bici – ero un allievo e correvo in bicicletta – che ha rischiato di non farmi camminare mai più correttamente. E l’aver gestito, appena ventenne, un rifugio del CAI sulle Apuane (il Rifugio Carrara a Campocecina) che m’impose una stanzialità forzata per tre anni, aggravata dalla veduta di panorami straordinari che potevo però guardare solo da distante.
d. Ci siamo incontrati parlando dei nostri cammini, vie lunghe e alternative ai soliti sentieri ma soprattutto al modus vivendi moderno. Quanto contano per te i tuoi cammini e cosa di danno in termini personali?
R. Buona parte di quello che so e che ho imparato d’importante nella vita, l’ho imparato in cammino. Ogni cammino mi ha insegnato che sono poche le cose indispensabili per vivere bene e che più cose abbiamo e accumuliamo e più la nostra vita diventa complicata e vuota. I cammini mi hanno insegnato cioè ad essere essenziale e sobrio. In uno zaino ci sta quel che serve e bisogna semmai togliere, mai aggiungere. Camminare significa essere aperto, vulnerabile, permeabile, nudo di fronte al territorio e a chi lo abita. Ogni incontro diventa importante perché non ci sono barriere. Il tentativo è sempre quello di trasferire questi principi nella vita quotidiana. Un altro valore importante che mi ha insegnato il cammino è il valore della fatica. La fatica fisica consente di tornare a una dimensione più giusta delle cose ed è estremamente importante e troppo assente nella vita stressata di oggi.
d. Immagino avrai mille ricordi di ogni tuo viaggio a piedi: sapresti scegliere tre immagini oppure tre situazioni che più sono vive nella tua memoria?
R. A distanza di tent’anni ho ancora impresso nella mente l’incontro con il lupo in Sila, durante la risalita a piedi dell’Appennino pensinsulare. Dietro una svolta della strada sterrata forestale c’era un lupo che beveva in un ruscello. Ero con Cristina, compagna di vent’anni di vita e di viaggi. Il lupo non si accorse del nostro arrivo nonostante fossimo a pochi metri da lui. Poi la fuga a gambe levate: del lupo non la nostra. Se penso al mondo vegetale penso alla straordinaria fioritura di rododendri che mi è capitato d’incontrare e di fotografare ai piedi del monte Saccarello, la vetta più alta della Liguria. La foto mi è valsa la stima del direttore di Airone, una doppia pagina d’apertura di un servizio sull’Alta Via dei Monti Liguri e l’immagine per la campagna d’abbonamento alla rivista dell’anno 1983.
Nel viaggio, GeMiTo, il cammino sui lati del triangolo industriale, ho conosciuto persone straordinarie, che sfidano i difficili tempi di crisi creando ricchezza senza distruggere l’ambiente e la comunità che lo abita. Penso ai tanti incontri con queste eccellenze sostenibili: 60 casi da prendere a esempio per una nuova economia, un nuovo mondo che c’è e di cui non parlano i media importanti.
d. Si dice sempre che il viaggio più bello è quello ancora da fare: hai già un’idea per il tuo prossimo cammino?
R. Idee tantissime. La mia bibbia è l’atlante geografico e quando lo apro e succede spesso, sogno di attraversare a piedi il mondo intero. Viaggio senza essere in viaggio. Viaggio con la mente e m’immagino territori che non conosco o che ho già percorso e che mi piacerebbe attraversare ancora per capire se e come sono cambiati. Alla fine credo che Marcel Proust dicesse una cosa assai importante, che mi sento di condividere in pieno: “L’unico vero viaggio, non è andare verso nuovi paesaggi, ma avere altri occhi.” Non è un caso se ho dedicato quasi trent’anni al mio paese, con l’intento di conoscerlo e di farlo conoscere. Oggi non sono pentito, anzi continuo a progettare cammini italiani e a tentare di far conocere l’Italia agli italiani, riallacciando fili e sensi di appartenenza perduti.
d. L’ultima domanda devi fartela da solo e poi risponderti, però sei libero di scegliere l’argomento.
R. Avendone la libertà, parlerei di politica, ma non della politica dei partiti e dei nostri amministratori. Visto che quella è soprattutto affari e intreccio con i potentati economici, direi che i miei cammini sono politici nel senso più nobile del termine perché ambiscono a un’autentica promozione della società attraverso la conoscenza e l’amore. Nutrire la vita con la ricerca della bellezza ha una portata geoetica e geopolitica. Un paesaggio riconoscibile è un paesaggio amato e un paesaggio amato richiede protezione.
Cos’altro aggiungere se non un grazie a Riccardo per le sue parole?
Marco Parlanti
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