SOCIALTREKKING RUPESTRE IN TUNISIA
Il ragliare un po’ convulso di un asino e le sonorità armoniose, sia pure sincopatamente lamentevoli di un muezzin. Ecco le prime sonorità che ci accolgono a Chenini.
Diventa subito un ricordo sbiadito il suono tecnologico del motore dell’ATR di linea che ci ha portato velocemente dall’Italia a Djerba. Siamo ora giunti in questo particolarissimo villaggio del “governatorato” più meridionale della Tunisia, quello di Tataouine.
E’ l’inizio di otto giorni di social trekking puro, tra i sentieri pietrosi ai margini del deserto sahariano e tra le genti che popolano questi luoghi.
Le finalità del socialtrekking targato Walden viaggi a piedi ben si sposano con lo spirito di alcuni volenterosi giovani tunisini ai quali la cooperativa toscana di viaggi responsabili si appoggia per la gestione di questo trekking “responsabile”.
I giovani tunisini in questione hanno seguito un percorso formativo gestito e monitorato dalla nostra Università di Bologna.
Da qualche tempo essi cercano di rendere effettivo nella loro terra un turismo sostenibile economicamente e ambientalmente Un progetto a prima vista titan…ico, tenuto conto del fatto che in questa zona si parte da zero o quasi nel settore turistico.
Guarda caso, TITAN è proprio il nome di questo progetto di cooperazione. L’acronimo sta Tataouine-Italia-Turismo-Agricoltura-Network. Chenini è ora al di sopra delle nostre teste. Più che vederlo, il villaggio lo si “sente” sia uditivamente che con l’ausilio dei propri recettori emozionali.
Nella zona dove ci ha “depositati” il traballante furgoncino che da Djerba ci ha condotto fin qui non c’è infatti un granché di illuminazione. Alle sei di sera dei primi giorni di primavera la luce solare è già latitante da un po’. Ci inerpichiamo con passo incerto, non proprio da “trekkers navigati” quali in qualche modo ci riteniamo.
Procediamo lungo l’accenno di scalinata che si intravede al chiarore della poetica luna crescente e di qualche più prosaico cellulare usato a mo’ di torcia. Dopo qualche tornante della scalinata, scolpita senza fronzoli nella roccia, si apre dinanzi ai nostri occhi il sipario di un palcoscenico di grande suggestione. Una scena illuminata quel tanto che basta a scorgere i contorni color ocra del surreale villaggio rupestre, avviluppato intorno al corpuscolo conico di una collinetta rocciosa.
Poco distante dalle cento tonalità sfumate del villaggio, spicca il chiarore biancastro di un edificio rettangolare, la moschea del paese.
Nel chiarore della giornata appena iniziata, la mattina seguente al nostro arrivo, i colori si distinguono in maniera definita: si va dal rossastro all’ocra al bianco candido, nel mix di tonalità create dalla mano della natura e di quella dell’uomo. Il tutto fa pensare quasi a una scenografia degna di un professionista che nella bacheca di casa custodisca più d’una delle celebri statuette auree made in Los Angeles. La colonna sonora della sera precedente presenta, ora che è sorto il sole, più di una variante. Il sibilo del vento è il suono di base che si insinua tra porte, anfratti, rocce, portando con sé il canto smorzato di un galletto mattiniero e il belare di pecorelle che si intravedono nel cortiletto delle abitazioni della fascia più bassa del villaggio, quella ancora abitata. Un’ambientazione da Oscar. E infatti non è un caso che Hollywood sia stata di casa in quest’angolo remoto del Maghreb per girare tra rocce e monoliti locali diverse scene dei film della saga Star Wars di George Lucas
Il vento è un elemento che di solito si sente più che vedere. Nel nostro incedere a piedi da un villaggio all’altro dell’area di Tataouine non è così. Il vento è qualcosa che si sente, ma soprattutto si vede. Lo si scorge ad esempio quando solleva le sottilissime particelle di sabbia e roccia di cui sono formati molti dei sentieri, spesso appena accennati, da noi percorsi.
Un vento che si solleva imperioso al di sopra dei nostri passi e si impadronisce talvolta di parte del campo visivo e dell’orizzonte. Soprattutto lo si “vede” attraverso lo scenario che è stato modellato da millenni della sua azione energica. Nella notte dei tempi fu proprio il vento a portare tonnellate di sabbia argillosa da queste parti.
A distanza di centinaia di migliaia di anni, la caratteristica polvere rosacea e rossastra proveniente dalle aree desertiche circostanti si è solidificata nelle rocce, nel terreno, nei rilievi, dando a questa zona colorazioni tra l’onirico e il fantastico. Un paesaggio dominato dal Regno minerale. Regno vegetale e Regno animale sono da sempre dei comprimari della componente inorganica.
Gli abitanti di queste zone, di origine berbera, sono sempre stati un numero ridotto, ma essi si sono anche per secoli dati particolarmente da fare, per creare condizioni di abitabilità e produttività interagendo con un ecosistema non proprio dei più ospitali. Timo, erba cipollina e radicchio fanno però spesso capolino tra le rocce del deserto che ci circondano mentre da Chenini ci dirigiamo verso Guermassa, per poi dirigerci verso Douiret. Qui la natura è stata modellata dall’uomo assecondandone forme, colori, sostanza, risorse. Basta pensare agli Jessour e agli ksour per rendersi conto di ciò.
Il sistema degli Jessour è un insieme di piccole « dighe » in terra battura e roccia, create per trattenere l’acqua piovana che di tanto in tanto si degna di bagnare queste aride distese. Questi sbarramenti artificiali sono riusciti nel tempo a creare terrazze fertili, degradanti e leggermente inclinate, le quali consentono « miracolose » colture di cereali, ulivi, alberi da frutta, palmeti.
Le loro tonalità di verde risaltano particolarmente tra le innumerevoli sfumature di marrone e rosso che caratterizzano. Le fragranze vegetali che si sprigionano da essi consentono piacevolmente di evitare il rischio che il senso dell’olfatto vada in letargo per scarsità di aromi.
Gli ksour sono invece delle particolarissime costruzioni formate da cellette tipo alveare poste su più livelli, che si aprono su di un cortile centrale.Scalette strette e ripide ne definiscono i contorni in maniera ancor più caratterizzante. La loro funzione è quella di grossi depositi di prodotti agricoli stipati dalle popolazioni locali seminomadi. Si tratta di depositi particolari, in genere fortificati per consentire anche l’ospitalità della popolazione in caso di attacchi e assedi da parte di popolazioni ostili.
Lo ksar ( singolare di ksour) Ouled Sultan in cui ci “imbattiamo” a una ventina di chilometri da Chenini è forse uno dei più coreografici e vale bene una sosta prolungata. L’accesso è libero e una delle poche concessioni al “turismo” è l’adiacente Cafè El Ksar, un localino dove ci si può rifocillare con acqua in abbondanza, brik e tajine.
TESTO E FOTO DI RAFFAELE BASILE informazioni sul VIAGGIO WALDEN IN PROGRAMMA NEL 2016 WALDEN HA DOVUTO SOSPENDENDERE LA PROGRAMMAZIONE IN TUNISIA A CAUSA DELLA SITUAZIONE POLITICA LOCALE. Rimane però l'impegno a dare testimonianza di solidarietà al popolo tunisino e ai corrispondenti locali, con i quali Walden viaggi a piedi ha lavorato in questi anni per portare il turismo responsabile nel sud della Tunisia. la sospensione di questo itinerario dovrebbe essere solo temporanea ed è auspicio di tutti poter presto riavere la possibilità di fare trekking tra i villaggi trogloditi. Tornare a camminare tra gli ksour, con gli asini, conoscere i berberi e il loro costumi, mangiare il cous cous nel deserto e rimanere a bocca aperta guardando il cielo stellato. Il sud della Tunisia è un paese dove il tempo si è fermato e dove l'aria è così pura e limpida che inebria.